30 Aprile 2025

Cinque minuti con… Léonor Serraille

Abbiamo intervistato Léonor Serraille, che sarà ospite del festival e parteciperà alla serata inaugurale presso la Sala Hera – Cinema Astra. Il suo ultimo film, Ari (Francia/Belgio, 2025, 88’), aprirà il festival e sarà presentato in anteprima nazionale, introdotto dalla stessa regista insieme all’attore protagonista Andranic Manet.

 

La tua carriera è iniziata con un ritratto inedito di una giovane donna: quanto credi che pesino oggi gli stereotipi sociali sulla rappresentazione del femminile nel cinema?

 
Tutto pesa sulle donne quando si tratta di stereotipi. Ne siamo costantemente sommerse. Ma senza voler minimizzare l’impatto del cinema, a pesare sulle donne è soprattutto la vita quotidiana e la sua parte di disuguaglianze salariali e di ingiustizie sociali.

 

Nel cinema possiamo trovare sempre più spesso compagne di lotta e di resistenza, o solo voci, incarnazioni di desideri e speranze. Per quanto riguarda il cinema francese, direi che da qualche anno ho notato un’inversione di tendenza e che i registi e le registe non vogliono ridurre o semplificare le donne, ma ritrarle in tutta la loro complessità e nelle loro molteplici sfaccettature, soprattutto nel cinema indipendente. Credo che, checché se ne dica, le cose si stiano muovendo nella giusta direzione, e ancor più nella misura in cui le donne prendono in mano la rappresentazione del femminile con il loro personale punto di vista. Per certi aspetti, il cinema sta avanzando più rapidamente che la vita concreta e materiale delle donne. Va bene rappresentare modelli sempre più liberi al cinema, ma se torniamo a una vita quotidiana che non è abbastanza libera e giusta, rimane molto astratto.

 

Ari è il ritratto dei venti/trentenni d’oggi: i ragazzi sono in crisi, hanno in parte perduto i propri modelli ma sono incapaci di trovarne di nuovi. Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia?

 

Sono proprio queste le domande che mi sono posta quando ho incontrato i 30 attori della classe di diploma del Conservatorio, quando ho dovuto scegliere un piccolo gruppo su cui scrivere. Il loro rapporto con il futuro, i loro sogni, le loro domande sulla genitorialità, sul lavoro, sulle amicizie e sull’amore.

 

Sono stata attratta dai loro punti di forza e di debolezza, e ho anche deciso di cambiare il soggetto principale (inizialmente pensavo di fare un film corale sui giovani insegnanti di scuola). Quello che ci siamo detti mi ha parlato, anche se ho 10 anni in più. Ciò che mi ha spinto in particolare a scegliere di rappresentare un personaggio come Ari, sensibile, forte e fragile allo stesso tempo, è stato anche il fatto che al momento della stesura credo che nella mia vita ci fosse molta inquietudine, e che avere un alter ego che mi permettesse di andare avanti nonostante la mia inquietudine fosse improvvisamente cruciale. Ma non me ne rendevo necessariamente conto mentre scrivevo. Ma paradossalmente, con questo ritratto un po’ fluttuante di un giovane uomo, mi sono sentita molto “nuda” in questo film, più che negli altri. Il bisogno di cercare ciò che ha senso nella vita quando la mente è un po’ confusa o ingarbugliata, questo è certamente il mio punto di partenza, un bisogno di raggiungere anche l’Altro, un bisogno di dolcezza.

 

Cos’è per te oggi il cinema indipendente e cosa pensi che sarà in futuro? Non solo come genere cinematografico, ma anche come identità e modo di fare cinema.

 

È una domanda difficile. Come possiamo sapere quale sarà il futuro del cinema indipendente, già così diverso in Francia, Italia, Spagna e Stati Uniti? Mi sembra che sia estremamente vigoroso e allo stesso tempo minacciato. Sono abbastanza preoccupata, devo dire, ma allo stesso tempo non posso essere fatalista. Mi ricorda l’arrivo del tablet, quando sentivo la gente molto preoccupata: “I libri scompariranno se compriamo tutti dei piccoli tablet?”

 

Il cinema indipendente sarà quello che faremo. O lo proteggiamo, o lo sosteniamo, o sparirà. Il finanziamento di film basati su star di successo sta contaminando il cinema indipendente d’autore, il mercato si ripercuote su tutto, e questo mi fa disperare. Mi preoccupa così tanto che mi fa rabbrividire e a volte, a torto, mi nascondo dietro le mie posizioni.

Ma il cinema indipendente significa essere liberi con il proprio soggetto e il proprio modo di fare le cose, fare un film dall’inizio alla fine. Spero che le persone diano ancora un certo valore alla loro libertà, anche se ne dubito fortemente quando vedo tutte le cose a cui si viene meno. Il “fare” è più importante del “dire”. Sento tante belle parole e pochi fatti.