16 Febbraio 2024

Intervista a Loris G. Nese

L’anno scorso, tra i progetti della sezione (in)emergenza, Z.O di Loris G. Nese ha vinto il premio di post-produzione audio (mix) a Cinecittà. Tea Paci lo ha incontrato per aggiornarci sul suo progetto cinematografico:

 

 

Ci racconti della genesi del tuo cortometraggio Z.O. e come si intreccia con una dimensione personale?

 

Il film nasce da un’iniziale voglia di raccontare uno specifico momento della vita, l’avvicinamento alla fine dell’adolescenza, quando tutto sembra ancora pericolosamente possibile e innocuo. Ancora di più se calato in un contesto di marginalità sociale. La Zona Orientale di Salerno è un’area di quartieri popolari che in città è percepita come una cosa molto diversa rispetto al centro, anche se non così lontana fisicamente, una sorta di periferia “morale”. L’accezione è negativa e crea divisioni con l’esterno, ma in parte è anche positiva perché crea un profondo senso di appartenenza all’interno della zona, un problematico orgoglio che è quello con cui sono cresciuto. La storia è collocata alla fine degli anni ’90, anni di faide tra clan in città. I racconti legati a quegli eventi hanno caratterizzato la mia crescita e definito l’identità della zona. Sono partito dai miei ricordi per scrivere il film.

 

Lavori ormai da diverso tempo con l’animazione. Cosa ti attrae di più di questo linguaggio?

 

Il bello dell’animazione sta nella possibilità di superare i confini fisici ed entrare nella testa dei personaggi. In ogni mio film animato mi piace esprimere i momenti di confusione mentale trovando una specifica resa visiva. In quei punti dei film può succedere qualunque cosa. Posso distruggere tutto, proprio fisicamente. Questa possibilità è la cosa che più mi diverte. Cioè la possibilità di sfondare le pareti e riprendere contatto con la materia, scomporre e ricomporre le cose, lavorare con tecniche e materiali diversi, sperimentare per cercare l’effetto più potente per raccontare un determinato passaggio. Ma sempre al servizio della narrazione. È anche vero che mi annoio facilmente e cerco sempre nuovi modi per impedirlo.

 

Dopo la partecipazione al progetto di sviluppo (In)emergenza, alla scorsa edizione del Bellaria Film Festival, quali piste si sono aperte per te?

 

Dal punto di vista creativo, presentare il progetto in uno stadio ancora embrionale ci ha dato la preziosa occasione per sperimentarne l’effetto sul pubblico. Il premio poi, che consisteva nella realizzazione del Mix 5.1 a Cinecittà, ha concretamente contribuito alla realizzazione del film, dandoci l’occasione di potenziare l’atmosfera sonora, che è uno degli aspetti a cui più teniamo.

 

So che i mesi passati sono stati particolarmente prolifici per il tuo lavoro. Quali progetti stai portando avanti?

 

Al momento sono impegnato principalmente su due progetti in fasi diverse. Uno è il mio primo lungometraggio, come sempre a metà tra fiction, documentario, e animazione, che ha dei legami con “Z.O.” e la mia crescita, prodotto da Chiara Marotta per Lapazio Film. Il progetto è stato presentato al mercato di Dok Leipzig e premiato ad Archivio Aperto a Bologna, e sarà pronto intorno alla fine di quest’anno. Contemporaneamente sto scrivendo la sceneggiatura di un lungometraggio di fiction, selezionato a Biennale College della Biennale di Venezia e presentato al Torino Film Lab.