20 Marzo 2024

Controcampo italiano — Intervista a Daniela Persico

Questo è l’anno della riscoperta della storia del Festival e del suo archivio — archivio sul quale lavoriamo grazie al sostegno del Ministero della Cultura. Navigare nel passato per uno sguardo consapevole sul presente e segnare le rotte del futuro. La rassegna e il libro Controcampo italiano: cinque registi per immaginare un Paese edito da Minimum Fax ne sono testimoni. Daniela Persico, intervistata da Tea Paci, ci racconta il valore di questa direzione concettuale:

 

 

Bellaria Film Festival, un tempo chiamato “Anteprima per il cinema indipendente italiano”, ha una storia importante. Cosa ha significato per te riscoprirla?

 

Dopo le prime edizioni, in cui ci siamo posti più l’obiettivo di riportare un cinema giovane all’interno del festival, che da sempre ha scoperto i nuovi autori italiani, abbiamo iniziato a interrogarci sulla sua storia e il suo valore contestuale. Gli anni ’80 e ’90 sono stati decisivi per il cinema italiano nel far emergere nuove voci e anche nuove pratiche produttive che andassero molto al di fuori di quello che era il “sistema romano”, creando nuovi centri lungo tutta la penisola. Questo è il contesto nel quale anch’io, come giovane spettatrice, sono cresciuta. Ho studiato a Milano dove ho incontrato una realtà come Filmmaker Festival, nata proprio per sostenere il cinema indipendente negli anni ’80 e ’90, incentivando lo sviluppo di nuove società di produzione e di autori che raccontassero scenari inediti del cinema italiano. In quegli anni Bellaria rappresentava un luogo d’incontro speciale per questi autori, che immaginavano un futuro diverso per l’arte cinematografica. Iniziare a riscoprire questa storia è stata un’avventura attraverso il cambiamento dell’immaginario della società italiana, ma anche il modo di concepire un festival cinematografico.

 

 

La storia del Bellaria Film Festival è in parte custodita in un archivio che avete deciso di raccontare. Come? E quali sono i protagonisti di questa storia?

 

Quest’anno abbiamo deciso di lanciare un segnale per la riscoperta del Bellaria Film Festival e del suo archivio, che è composto da tante voci, alcune diventate molto celebri, come Silvio Soldini, altre rimaste per propria volontà “fuori dal coro”, ma che hanno rappresentato qualcosa di importante e unico per il cinema del futuro. Insieme a Minimum Fax, si è pensato a un libro che contenesse le storie di quei cineasti, percorsi raccontati in prima persona dai protagonisti (e raccolti da critici che li hanno amati e seguiti come Mario Blaconà, Alessandro Del Re, Beatrice Fiorentino, Emiliano Morreale, Giona A. Nazzaro, Dario Zonta) e illustrati da Simone Massi. Controcampo italiano: cinque registi per immaginare un Paese raccoglie la storia di capolavori degli anni ’90 che hanno segnato un passaggio del cinema italiano, aprendo ad uno scenario per nuovi modi di guardare e raccontare il nostro presente.

 

Si inizia dal corpus di opere di Paolo Benvenuti, un autore che ha sempre guardato al passato celato del nostro Paese per raccontarlo attraverso il filtro della cultura italiana, cercando un punto di vista inedito seppur insito nelle tracce del passato. Si continua con Antonio Capuano, un autore che con la sua inarrestabile forza propulsiva ha reinventato i generi e ha dato forma alle contraddizioni della contemporaneità. C’è Giuseppe Gaudino che con Giro di lune tra terra e mare ha realizzato il capolavoro italiano degli anni ’90, mettendo in fluida connessione i resti del nostro tempo e del passato, anticipando tanti autori del cinema europeo.  Franco Maresco che attraverso la provocazione di un’immagine sempre spinta al limite di se stessa, si propone come disvelatrice degli angoli più neri del nostro paese. E c’è infine Corso Salani che apre alla scena del cinema del reale contemporaneo in cui la prima persona diventa la chiave interpretativa, l’unica risorsa, per affrontare il presente.

 

Sono loro i padri mancati del cinema italiano, quelli che avremmo voluto potessero essere al centro di una riflessione culturale condivisa, ma che sono sempre stati relegati ai margini. Una generazione cresciuta in momento politico complesso, in cui il cinema è stato messo da parte, rispetto all’immagine televisiva. I loro film sono delle pietre miliari, delle voci vulcaniche, che hanno saputo conservare le contraddizioni di quel tempo e che, soprattutto, riconosciamo come centrali oggi alla luce di quello che sta accadendo nel cinema contemporaneo. 

 

 

Ai “padri mancati” sarà dedicata la Retrospettiva del Festival. Quale valore può avere per il cinema contemporaneo?

 

La retrospettiva che dedichiamo a loro è una raccolta di film importanti, che hanno intercettato la storia del nostro Festival oltre a quella dei registi stessi. Li ho voluti mettere in relazione con degli autori che segnano oggi dei nuovi orizzonti del cinema d’autore europeo — autori che potessero reinterpretarli. È evidente che questi film abbiano lasciato una traccia potente, che ha superato i confini nazionali, sembra essere stata tenuta nascosta e ormai quasi dimenticata, tanto che parliamo di persone che hanno dovuto sfidare la censura ai tempi, che si trovano in situazioni complesse per poter continuare ad esprimersi.

L’idea di questo libro è nata sulla spiaggia, quando il regista Miguel Gomes mi ha dichiarato di essere rimasto molto ispirato, ancora ai tempi in cui non pensava di fare il regista ed era un critico cinematografico, dalla visione di Giro di lune tra terra e mare. Da lì è nata una riflessione su come certi film siano stati centrali per i cinefili della mia generazione e quanto oggi siano al contempo dimenticati. Eppure, in qualche modo, sono lo specchio delle pratiche contemporanee di alcuni autori. E, quindi, mi è piaciuto far rileggere a un autore come Radu Jude il cinema di Paolo Benvenuti, perché sono due autori che riflettono sulla centralità del documento e sulla mediazione dell’immagine cinematografica; così come ho voluto portare a collisione l’universo irriverente di Franco Maresco con la riflessione sullo statuto ontologico della realtà di Sylvain George, o di collegare un autore bambino negli anni Novanta come Alessandro Comodin e farlo riflettere sul mondo mediale creato da Capuano per Vito e gli altri, o il ritorno in Italia di un documentarista come Giovanni Cioni quando Corso Salani sceglieva di allontanarsene per raccontare quell’Europa, così carica di promesse e inquietudini.

 

 

Qual è la tua speranza? Cosa ti auguri per questo progetto di riscoperta storica?

 

Spero che questo libro e la riproposizione dei film dei padri mancati al Bellaria Film Festival possano creare un contesto per incontri generazionali e per una riflessione condivisa rispetto alla recente Storia del nostro Paese e sul cambiamento culturale che abbiamo affrontato.